27 September, 2012

Fossili digitali vs Amnesia digitale


Da un po’ di tempo penso alla memoria con la M maiuscola, la memoria storica. Attraverso i graffiti e le pitture sulle pareti delle caverne sono giunte fino a noi le tracce di uomini che hanno vissuto 30-40.000 anni fa. Nell’era dell’informazione, accantonata la carta, si è presa la responsabilità di salvaguardare la memoria del nostro passato la cosiddetta memoria virtuale, che per lo più viaggia su internet. Di recente però diverse notizie mi fanno riflettere su aspetti ambivalenti della rete. Da un lato la sua fragilità e dall’altro la sua potenza.
A proposito di passato ad es, ieri si è scatenato l’inferno alla notizia che facebook aveva reso pubblici alcuni messaggi “privati” relativi agli anni 2006-2009. Non immune dal panico che si era creato, ho subito controllato, ritrovando, in effetti, messaggi sconnessi di amici, totalmente decontestualizzati. Cos’era successo? In pochi ricordano che facebook quattro anni fa non dava la possibilità di commentare i post. Quello che oggi ci appare come una conversazione non esisteva. Senza commenti, le persone avevano conversazioni scambiandosi post sulle rispettive bacheche. Ecco perché, con timeline, appaiono oggi questa sorta di chat sconnesse: cioè non si visualizza in un unico contesto il “botta e risposta”, ma solo la botta. Per leggere la risposta dovresti andare sul diario dell’altro utente.
Sebbene non si sia trattato di un vero e proprio bug, il problema delle tracce lasciate del proprio passato virtuale esiste comunque: non so, infatti, quanta cura prestassimo allora alla privacy dei nostri post, sapendo che il capo e la collega antipatica non erano ancora iscritti a FB. Ma oggi si può leggere tutto. E la cosa grave è che una volta postati i commenti sulla bacheca di altri, ne abbiamo perso il controllo. Infatti è solo sulla nostra bacheca che possiamo decidere cosa nascondere, ma non abbiamo scelta sulle bacheche altrui, nonostante si goda del diritto d’autore di certe turpitudini.Bufala o meno, quello che mi ha interessato è stato proprio il subbuglio che ha creato questa notizia tirando fuori i famosi scheletri del passato.
Il punto è che ci piacerebbe gestire le tracce virtuali che molliamo qua è la sulla rete, a volte con qualche problema di incontinenza. Abbiamo capito che non possiamo controllare tutto ammantando il nostro passato di zucchero filato.

A dispetto di ciò che rimane c’è anche qualcosa che si cancella. e, in alcuni casi, forse è un peccato che si cancelli. In un momento in cui il Web contribuisce non solo a scrivere la storia, ma anche a conservarne la memoria due ricercatori universitari di Norfolk (Virginia, USA)  hanno trovato una pecca che ha gravi implicazioni su quello che noi riteniamo essere il nostro nuovo contenitore di memoria storica: alcune/molte notizie vengono regolarmente rimpiazzate da quelle nuove facendo così sparire piccoli pezzi della nostra storia. I due ricercatori (Losing My Revolution: How Many Resources Shared on Social Media Have Been Lost? Hany M. SalahEldeen, Michael L. Nelson) hanno studiato quante delle risorse condivise dai social media restano disponibili sul web o nei suoi archivi; per farlo hanno seguito le tracce di una serie di link scoprendo che un numero importante di questi, dopo qualche tempo, svanisce semplicemente nel nulla.
 In particolare, l’attenzione è caduta sui tweet legati ad alcuni eventi storici significativi degli ultimi 3 anni. Hanno scoperto che, per esempio, il 30% della storia della rivolta egiziana, partita, esplosa e documentata dai social network, è già sparita. Lo stesso processo colpisce le notizie relative ad altri eventi culturalmente significativi. I numeri sono sorprendenti. Entro il primo anno scompare in media l’11% dei contenuti (e il 20% viene archiviato) e dopo 2 anni e mezzo il 27% (e il 41 viene archiviato).
In altre parole, il mondo perde ogni giorno piccole porzioni (0.02%) di storia narrata dagli attuali mezzi di comunicazione sociale, per cause banali tipo la chiusura o lo spostamento di un blog. E così, se la carta aveva migliorato enormemente la tradizione orale, sembra che l’effimero web ci stia facendo regredire. Bisogna rassegnarci al fatto che conservare tutto è impossibile e che la nostra storia è soggetta a una progressiva amnesia digitale.

Esistono progetti che ci raccordano nuovamente all’altra faccia della medaglia della documentazione e della conservazione della memoria storica attraverso la digitalizzazione e l’archiviazione sula rete. Ad esempio i progetti fotografici Zaijietou e Lost and found.
Zaijietou , letteralmente “sulla strada”, è un blog cinese di street photography che trovo particolarmente interessante dal punto di vista della sociologia visuale. Quest’estate, come ho già scritto in un post precedente, sono stata a Pechino e, malgrado solitamente non ami ritrarre le persone, anche io ho sentito il particolare bisogno di riprendere una società che, sottoposta come poche a così rapide trasformazioni, non sarà mai più la stessa ed ad un certo punto probabilmente sentirà la necessità di voltarsi indietro e chiedersi “come eravamo?”.

Lost and Found 3/11 è invece un progetto ospitato in questi giorni, in occasione dell’XI edizione di Festival Internazionale di Roma FotoGrafia, dal MACRO Testaccio, (fino al 10 ottobre 2012).
 Il progetto, concepito dal fotografo Munemasa Takahashi, e voluto  da Kazuto Hoshi, un cittadino di Yamamoto, presenta l’opera di ricostruzione di un pezzo di identità di quei giapponesi che hanno subito la catastrofe dello Tzunami l’11 marzo 2011. Un pezzo di identità che probabilmente sarebbe andata perduta se i ricercatori della Japan Society for Socio-Information Studies non si fossero letteralmente presi cura delle migliaia di fotografie private e degli album di famiglia recuperati dalle macerie e confluiti casualmente nella palestra di una scuola nella regione del Tōhoku.
Le foto sono state asciugate, ripulite, digitalizzate e, dove possibile, restituite ai proprietari e alla collettività. Probabilmente uno 0.02% di storia salvato dall’amnesia digitale.

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