12 October, 2006

suore o puttane?

Cari amiche, ma soprattutto cari amici, una sera un'amica mi ha invitato a leggere una lettera inviata a Umberto Galimberti pubblicata su D DONNA di Repubblica DEL 30 Settembre a proposito di "o suore o puttane" estendo a voi l'invito...come lei dalla parte delle puttane...naturalmente.

Qui trovate l'articolo originale:
http://www.dweb.repubblica.it/dweb/2006/09/30/attualita/lettere/362sia518362.html

::Ambra Ramon ::
Scrivo questa pagina a voi donne e uomini, e ancora di più alle ragazze (e ai ragazzi) che ne sono più colpite. Ormai avete una vostra vita, una certa autonomia, ma qualcosa ancora non va. Spendete dieci minuti per leggere e aiutarmi a far crescere questo mondo e soprattutto certe concezioni ancora troppo maschiliste. Probabilmente userò parole forti perché forti sono le parole che vengono usate su di noi. Il punto principale è: le donne non sono o suore o prostitute! Noi non siamo sempre illuse e non sempre pensiamo già dopo il primo appuntamento di volerci sposare! Anche noi a volte vogliamo divertirci e avere la nostra libertà. Perché questa ci viene negata? Con i giudizi, con i commenti, con le parole ci negano la libertà, libertà di pensarla come vogliamo, di fare ciò che più ci sembra giusto e condizionano le nostre azioni a volte portandoci a cambiare le nostre scelte. La donna sa amare, ha dentro una passione che nessun altro essere ha, ma molte sono troppo "fragili", hanno paura di esporsi perché temono di essere appunto giudicate con definizioni che possono ferire dentro. [...].
[...]Lo facciamo insieme se/quando e perché lo vogliamo, non siamo usate da nessuno e non siamo le prostitute di nessuno, mai! Non fatevi sottomettere, non fatevi convincere ad adattarvi. Non ci svalutiamo facendolo con qualcuno con cui vogliamo farlo, ci svalutiamo non facendolo per paura di quello che ne penseranno gli altri.[...]
::Risponde Umberto Galimberti::
Il controllo della sessualità femminile, che interiorizzata dalle donne diventa autocontrollo, risale all'origine dei tempi, ed è dovuto al fatto che l'esercizio della sessualità nella donna è intimamente connesso alla generazione. Anche nelle più remote tribù primitive che Lévi-Strauss a suo tempo ha visitato nell'America latina e Malinowski nelle Isole Trobriand al largo della costa sudorientale della Nuova Guinea, il capo tribù controllava l'esercizio della sessualità femminile affinché non nascessero più figli di quanti il gruppo ne potesse mantenere. Di questo controllo è rimasta traccia anche nella nostra cultura, nel medioevale ius primae noctis dove la donna, per poter accedere al talamo dell'uomo che aveva scelto o le era stato assegnato, doveva trascorrere la prima notte col re, non tanto per ragioni sessuali, quanto per marcare una gerarchia di poteri, disponendo la donna dello stesso potere del re: il potere di vita e di morte. Oggi che, grazie alla diffusione delle pratiche anticoncezionali, la sessualità è sganciata dalla riproduzione, la donna può guardare alla sua sessualità non più come a un ineluttabile destino ma come a una libera scelta. Può cioè esprimere la sua sessualità come crede, anche se la psiche, essendo più lenta delle accelerazioni della storia, non ha ancora interiorizzato questa libertà, sia nei maschi dove il retaggio storico ancora condiziona e determina il giudizio negativo sulla libertà sessuale delle donne (di cui peraltro fruiscono per la loro soddisfazione, ma da cui si tengono anche lontani quando si tratta di costruire il gruppo familiare), sia nelle donne che tendono a contenere la loro libertà sessuale per non precludersi la possibilità di un rapporto coniugale. Come vede siamo ancora tutti abbastanza talebani, e anche se le donne, col tanga, hanno liberato il loro corpo dal burkha, non hanno ancora liberato la loro anima a causa del pregiudizio maschile. Quando sento dire, con molta superficialità, che bisogna liberare le donne mediorientali dal burkha o dal velo, mi domando sempre se coloro che lo chiedono sanno quali macchine antropologiche e psicologiche, per non parlare delle macchine che governano l'organizzazione familiare e sociale, occorre terremotare. Perché non basta dire "democrazia" e pretendere addirittura di esportarla, se a una cultura non si lascia il tempo necessario alla sua evoluzione, soprattutto in tema di emancipazione sessuale che, di tutte le rivoluzioni, è la più decisiva, quella che più incide nelle trasformazioni sociali. Solo la superficialità della cultura americana può ignorare queste cose. E noi al seguito.

Scrive Kate Millet in Prostituzione (Einaudi): "L'uomo trova un credito morale trattando con condiscendenza la prostituta, senza smettere di scopare la puttana, congratulandosi con se stesso per essersi accorto della sua miseria"

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